Al supermercato, ci troviamo di fronte a una vasta gamma di prodotti diversi di pasta cruda. Questa varietà non si limita solo a tipologie specifiche di pasta, come integrale o di semola di grano duro, ma si estende anche a prodotti simili. Ogni azienda offre una selezione unica di prodotti, specialmente quando si tratta di pasta di semola di grano duro. Ogni marchio presenta una serie di formati diversi, sebbene ci siano alcuni formati che sono comuni a tutte le marche. Una caratteristica che non passa inosservata è il colore variabile della pasta, a seconda del produttore. Tuttavia, se la pasta è ottenuta con le stesse metodiche e ingredienti, perché c’è questa differenza di tonalità?
Questo fenomeno può essere attribuito alla presenza di un composto chimico, generato durante il processo di essiccazione. Questo elemento si chiama “Furosina”, una molecola tossica per l’organismo umano che può essere contenuta nella pasta e in altri alimenti, che si forma nei cereali nella prima fase della reazione di Maillard con le alte temperature e tempi di essiccazione molto brevi. La presenza e la quantità di furosina possono fornire informazioni sulla qualità e sulla corretta cottura degli alimenti. In particolare, nella pasta, questo indicatore serve a rilevare la qualità del processo di lavorazione e della freschezza del prodotto. Di conseguenza aumentando la temperatura e riducendo il tempo di essiccazione, la pasta assume un colore più giallo, ma risulta impoverita di sostanze nutritive, avrà un sapore meno pronunciato e una ridotta capacità di conservare i sapori dei condimenti.
Lo rivela uno studio della professoressa Marilia Tantillo, docente in Sicurezza degli Alimenti nel Dipartimento Interdisciplinare di Medicina dell’Università di Bari. Lo studio effettuato dalla docente si focalizza soprattutto sulla pasta, alimento che negli ultimi anni ha sempre ricevuto packaging “attraenti” e riportanti indicazioni sulla bontà sia del prodotto in sé sia della sua lavorazione. “Nell’ultimo ventennio, le industrie della pasta hanno ridotto i tempi di essiccazione a poco più di 2 ore, ma hanno elevato la temperatura dell’essiccazione a oltre 90°C (High temperature/Short Time), ha spiegato la professoressa, il tutto per raggiungere un duplice obiettivo: aumentare le produzioni giornaliere ed abbattere i costi di esercizio. Tale pratica è dannosa per la salute dei consumatori”.
“Quando la base di una sostanza alimentare che contiene carboidrati e proteine, è sottoposta a temperature superiori a 75°C, va incontro alla reazione di Maillard, sottolinea la docente che, nella pasta, determina modifiche nutrizionali e organolettiche e genera un composto intermedio, la furosina, che in altri alimenti come il latte e derivati viene utilizzato come marker di danno termico”. Nel dettaglio, la reazione di Maillard è un processo chimico complesso che avviene durante la cottura di cibi ricchi di proteine e carboidrati. La reazione ed è fondamentale nella preparazione di molti piatti, conferendo aromi, ai colori e ai sapori caratteristici. La fase iniziale della reazione di Maillard può avvenire solo se nel sistema sottoposto a trattamento termico sono presenti allo stesso tempo zuccheri riducenti e gruppi amminici liberi di proteine, peptidi o amminoacidi. Questa fase non produce alterazioni evidenti del prodotto, ma è associata ad una riduzione della biodisponibilità di aminoacidi essenziali come la lisina.
La fase secondaria porta alla formazione di composti responsabili di colorazioni e aromi anomali, inoltre se la reazione avviene in modo eccessivo o a temperature troppo elevate, possono formarsi anche composti indesiderati associati a potenziali rischi per la salute. La pasta, dunque, per poter essere definita salutare, dev’essere sottoposta ad un processo di essiccazione cosiddetto “lento” o “tradizionale” ossia che consideri un suo riposo di 24/60 ore, anche in base al suo formato, a temperature non superiori ai 60/65°C (Low Temperatures/Long Times). Le criticità riguardano dunque questa molecola, che possiamo trovare in vari prodotti come, ad esempio, il latte in polvere e in tutti i formaggi prodotti con il latte in polvere, nei prodotti da forno, nel miele trattato termicamente, e in altri alimenti. “La furosina fa parte delle cosiddette molecole glicate (Advanced Glycation End-products/AGEs) che alcuni studi recenti hanno dimostrato essere correlate ad alcuni processi infiammatori e a patologie dismetaboliche quando tali molecole vengono assunte costantemente e in abbondanza con il cibo, il livello nel sangue aumenta notevolmente e dopo l’assorbimento tendono ad accumularsi nei tessuti e a danneggiarli”. La domanda sorge spontanea: “Come fare per riconoscere una pasta che contiene tale molecola?” Anche in questo caso la docente ha una risposta pronta: “È il colore tendente al caramello che deve ad accendere il semaforo rosso. Da escludere la pasta integrale che ha già di per sé un colore ambrato”. Di ulteriore aiuto per il consumatore è l’etichetta, la quale, secondo il Regolamento UE 1169/2011, deve riportare informazioni sul contenuto nutrizionale del prodotto e fornire indicazioni per comprendere come gli alimenti concorrono ad una dieta corretta ed equilibrata.
Anche in questo caso però sorgono alcune criticità, ad esempio, le indicazioni presenti su alcune tipologie di pasta, spesse volte, ma non sempre, riportano informazioni relative al processo di essiccazione che si rifà alla tradizione della produzione della pasta italiana, caratterizzata da una lenta, lentissima essiccazione. Ciò non è sufficiente secondo la professoressa. Fintanto che non sarà adottata una legge che disciplini il contenuto massimo di furosina nella pasta (80 mg/100g di proteine) le aziende potranno continuare a scrivere sulle confezioni indicazioni, più o meno veritiere, ma sicuramente fuorvianti per il consumatore. Ai fini della tutela dei consumatori, .rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, le aziende produttrici di pasta devono quindi garantire non solo il rispetto dei procedimenti produttivi ma anche poter dimostrare la conformità rivolgendosi a laboratori di analisi che offrono servizi dedicati per la determinazione della presenza di furosina. Attualmente, infatti, le indicazioni riportate in etichetta, risultano generiche perché manca il dato che riporta alla qualità di processo dichiarata perciò questi casi, potrebbero rientrare nel caso di frode commerciale per valore percepito falsamente riportato in etichetta.
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