Thor ha la stazza del vichingo e il corpo di Chris Hemsworth. Pensi all’esemplare nordico maschile e vedi il suo mento volitivo, le proporzioni titaniche ben evidenziate da un fisico tornito; il capello biondo d’ordinanza, che resta fluente persino quando è tagliato a un millimetro dal cranio.
Jason Aaron, invece, ha il fisico del beone sudista, testa pelata e barba degna degli ZZ Top, tatuaggi e abbigliamento che possono rivaleggiano solo con quelle di Phil Anselmo. È nato in Alabama e suo cugino ha scritto la pseudo non-fiction, trasformata poi in Full Metal Jacket. È Cresciuto adorando i fumetti, Aaron ed è diventato uno scrittore famoso e celebrato soprattutto per un paio di serie, di cui una intitolata proprio Southern Bastards, che racconta di pick-up, carni alla griglia, diner, campi di mais, camicie a quadrettoni e comunità non esattamente inclusive. L’altra, Scalped, è un concentrato di violenza nichilista, ambientato in una riserva indiana, con modi e leggerezza presi di peso da Sam Peckinpah e Cormac McCarthy.
L’uomo, insomma, non le manda a dire, e proprio per questo, affidatogli il buon Thor da mamma Marvel, era lecito aspettarsi una girandola di eclatanti eventi degna degli action movie degli anni Ottanta. Invece Aaron, ha inizialmente creato una tra le migliori run della storia del personaggio, raccontando lo scontro epico e filosofico con un Macellatore di Dei: uno story arc che tratta di deicidio e blasfemia, e condisce tutto con grosse dosi di pessimismo disfattista e iconoclastia.
Tuttavia, subito dopo aver fatto a pezzi l’essenza di Thor, lo scrittore ha privato l’asgardiano Dio del Tuono del suo martello Mjolnir e l’ha sostituito con una donna. Proveniente dalla Terra. E non con una donna qualunque, bensì – spoiler alert – con una vecchia fiamma piuttosto pervicace: Jane Foster. Se nell’universo cinematografico della Marvel questa è stata, e sarà interpretata da Natalie Portman, nel fumetto si porta appresso una storia ben più complessa, di rivalsa, cambiamenti e archetipi femminili, e poi femministi, a vario titolo.
Come logico, appena un essere umano donna ha impugnato il Martello, al cielo non sono ascesi gli dei o i santi, ma gli improperi noiosi e scontati di tanti machisti dell’occorrenza. Però, a dispetto di tutti i prevenuti detrattori, con altrettanta ovvietà, il personaggio e la sua evoluzione narrativa sono, invece, una meraviglia di fantasia e amore per la narrazione, combattività e intelligenza critica. Per l’autore, infatti, non conta tanto che la protagonista sia una donna, quanto che sia un personaggio a tutto tondo. Amato, partecipato, costruito nei suoi dettagli. Insomma: vivo.
Inoltre, Aaron ha avuto il coraggio di mettere al centro un pensiero tutto contemporaneo e molto discusso, vale a dire la forza vera di chi è percepito come minoranza e sottostimato in quanto tale, esplicitandolo inoltre, nella figura di una donna che ha vestito spesso i panni della damigella in pericolo. Non contento, l’autore ha iscritto nel DNA narrativo di Jane un impeto guerriero che la rende un milite idealizzato: pratica, onesta, mai prona davanti al potere, rabbiosa davanti ai torti, equanime con i giusti: i muscoli di un dio con la ragione dello statista. Con la complicazione di un tumore al seno a logorare le speranze dell’eroina.
Se peraltro vi chiedete come sia mai possibile per un dio morire di cancro, la risposta è presto detta: è proprio nel vestire i panni di Thor che Jane Foster s’ammala; ad ogni trasformazione i suoi cicli di chemioterapia saltano. Per questo e altri motivi, la Thor al femminile non solo rivaleggia con l’originale (superata, forse, solo dalla versione del mitico Beta Ray Bill, prodigioso alieno dalla faccia di cavallo partorito da Walt Simonson), ma rischia a più riprese di superarlo: nella determinazione, nel rapporto con il magico martello Mjolnir e nella volontà di porsi contro qualsiasi ingiustizia.
Specialmente se questa ingiustizia ha le fattezze maschiliste e conservatrici di Odino (che fa le veci di molti fan-boys tradizionalisti) o di qualche finanziere dal narcisismo facile (Dario Agger, aziendalista convinto che si tramuta in Minotauro all’occorrenza). Non casuale, date queste premesse, la rinnovata sottoscrizione del ruolo da parte della Portman, che si spera possa fornire il giusto spessore interpretativo ad un personaggio come Jane Foster, che merita una controparte in live action all’altezza del comic, dote che l’attrice naturalizzata statunitense ha nel suo repertorio di talento recitativo.
Articolo e Illustrazione Christian Imbriani