Il Festival delle Memorie
Il primo anno del nuovo millennio ha conosciuto l’istituzione di una Giornata della Memoria, con l’intento di ricordare i sei milioni di ebrei sterminati dai nazisti sulla base di un preciso progetto pianificato tecnicamente con l’intento di cancellare l’esistenza fisica di tutta la popolazione ebraica dalla terra d’Europa. Il succedersi degli anniversari della Giornata della Memoria ha visto l’intensificarsi progressivo della polarizzazione dell’evento sulla Shoà, nelle sue molteplici e terrificanti declinazioni, testimonianza di efferatezze senza limiti per vastità e modalità.
Le istituzioni hanno però avuto la tendenza a sottacere o a sottovalutare gli altri aspetti dei crimini nazifascisti: lo sterminio di un altro popolo in quanto tale: i rom e i sinti, la distruzione programmata della società polacca, il massacro di milioni di civili slavi, in particolare sovietici, lo sterminio di cittadini tedeschi affetti da menomazioni psichiche e fisiche, di omosessuali, di testimoni di Geova, di emarginati sociali, di antifascisti di vario orientamento. Centinaia di migliaia di soldati italiani furono deportati e ridotti in una brutale schiavitù che ne portò a morte decine di migliaia, solo per non avere voluto asservirsi al regime.
La memoria legata alla Shoà ha indubbiamente svolto un ruolo importante nel fare emergere i valori generati dalla consapevolezza che il concetto di memoria proietta il proprio significato ben al di là del ricordo o della pur legittima celebrazione di un lutto immenso, per configurare un’intera cultura di ripulsa della violenza, della sopraffazione. Un intero corpo nazionale, quello tedesco, sceglie di rimettersi in discussione ponendosi questioni laceranti, domandandosi: “Perché abbiamo fatto questo a tanti esseri umani? Perché abbiamo fatto questo a noi stessi? Come abbiamo permesso che la nostra grande nazione, sviluppata, colta, ricca di una straordinaria cultura si trasformasse in una nazione di carnefici?”. Il grande cammino compiuto dalla Germania le permette oggi di camminare a testa alta fra le nazioni. Perché la peggiore cosa che possa capitare a un essere umano o a una comunità non è quella di essere vittima, ma carnefice del proprio simile.
Il progredire della cultura della memoria ha determinato un allargarsi dell’orizzonte di indagine. Persone e altre genti di popoli che avevano subito stermini delle proporzioni di un genocidio, o di stragi di massa, si sono affacciati al Tribunale delle Nazioni per chiedere giustizia e memoria riconosciuta per potere ritrovare il cammino della pace che si può aprire solo con il riconoscimento da parte di chi ospitò nel proprio corpo il morbo del crimine. Una parte dell’opinione pubblica ha scoperto che solo limitandosi al secolo breve l’umanità ha conosciuto il genocidio della Namibia, quello armeno, lo sterminio nazista, le stragi di massa perpetrate dall’esercito imperiale giapponese in Manciuria e in altre aree asiatiche, i crimini staliniani, le stragi e le persecuzioni sistematiche del popolo curdo, il genocidio interno del popolo cambogiano, le stragi della ex Iugoslavia, il genocidio dei tutsi, le persecuzioni degli uiguri, dei rohingya, del popolo sahrawi…
Il Festival delle memorie non si fonda su alcuna ideologia, non vuole essere un tribunale, non si erge a giudice; il suo scopo è quello di dare un contributo artistico e culturale per edificare una memoria universale e per promuovere la pace e l’incontro fra le genti.
Moni Ovadia