Un eccesso di zucchero nel sangue favorisce l’Alzheimer. E’ l’allarme lanciato da un nuovo studio che rivela che l’iperglicemia disattiva nel cervello un enzima che difende le cellule nervose da danni e proteine tossiche

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Non è la prima volta che l’iperglicemia vene associata al morbo di Alzheimer. Secondo uno studio condotto da Jean van den Elsen dell’Università di Bath (GB) il morbo di Alzheimer potrebbe essere favorito da un eccesso di zucchero nel sangue.

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Secondo quanto riferito dall’autore, l’eccesso di zucchero (iperglicemia) disattiva nel cervello un enzima protettivo importante per difendere le cellule nervose da danni e proteine tossiche.

La disattivazione di questo enzima, chiamato MF, potrebbe rappresentare un momento critico nelle primissime fasi di sviluppo dell’Alzheimer, una specie di molla che dà il via alla malattia.

Non è la prima volta che questa patologia viene associata a disturbi quali il diabete e l’obesità; alcuni scienziati sono arrivati perfino a soprannominare l’Alzheimer “diabete del cervello”, proprio a voler evidenziare una connessione tra le due malattie.

Una seconda ricerca messa a punto da una equipe del Massachusetts General Hospital di Boston, invece, mostra che il morbo che causa demenza senile potrebbe essere riconosciuto prima ancora che abbia fatto il suo esordio, analizzando il linguaggio delle persone.

Chi in futuro svilupperà i sintomi tende a comunicare utilizzando frasi più complicate, con periodi contorti e lunghi. Il morbo di Alzheimer è una fatale malattia del cervello che provoca un lento declino delle capacità di memoria, del pensare e di ragionamento. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Scientific Reports.

La nostra associazione che si occupa anche della tutela degli ammalati di tali malattie neurodegenerative, ricorda che circa 47 milioni di persone in tutto il mondo sono affette da demenza senile, ed il morbo di Alzheimer è il tipo più comune.

L’inesistenza di una cura, poiché le medicine attuali possono solo temporaneamente alleviare i sintomi, comporta il fatto che non solo chi è colpito dalla malattia ne subisce le conseguenze che lo portano ad un decadimento progressivo sino alla morte, ma anche i propri familiari che devono assisterli.

È difficile, quindi stimare, per la loro enormità, i costi sociali che la malattia porta ai sistemi di welfare, ma è ovvio che la scoperta di una cura efficace potrebbe da una parte portare sollievo a milioni di persone nel mondo, ma anche ridurre notevolmente la spesa pubblica sanitaria a livello globale.

Giovanni D’Agata
Presidente dello “Sportello dei Diritti”

 

 

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