Ci sono certi uomini che hanno un talento naturale, un istinto formidabile, e anche la fortuna di trovare l’ambiente e il momento giusto per esprimerlo. Stan Lee fa parte di questi. Quando il suo editore gli chiede supereroi, perché sembra che stiano andando forte, lui non si mette al tavolino a pensare troppo, la sua creatività vive di intuizioni gioiose, di complicità con i suoi coautori e lettori. Il rinnovamento che propone rivoluziona il fumetto americano.
Spiderman, ne è un esempio. Lee vuole la realtà dietro il suo personaggio e lo vuole ragazzo, non adulto. Non ci sarà un Robin al suo fianco: l’Uomo Ragno ha già l’età di Robin. Il costume sarà integrale con visibili solo gli occhi, così che tutti possano identificarvisi. Peter Parker è mingherlino e non ha una forte personalità, abita in una casa normale, tipica di un ragazzo della classe media, e ci vive con gli zii (perché l’amore per gli zii è più consapevole, e meno ovvio di quello per i genitori).
Poi, la frase che ha reso popolare Spiderman: “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”. Altro che fumetto popolare: questo è un monito che dovrebbe essere affisso in tutti gli uffici e i ministeri del mondo. Ma c’è anche la stravaganza, la spudoratezza, l’inventiva dei suoi straordinari rivali, senza i quali un supereroe non serve a niente. E l’ironia dei titoli, delle didascalie, che evidenziano le presenza degli autori dietro le storie, sottolineata da vistosi e articolati crediti iniziali. Il gioco è chiaro; avvincente e scoperto. E in questo gioco Stan Lee va ancora un po’ più a fondo, entrando, con il suo talento istrionico di comunicatore, nei sentieri della psicoanalisi.
In Spiderman si usa spesso e volentieri il fumetto con le bolle, che rivela ciò che i personaggi non vogliono comunicare apertamente. Nella quarta tavola de Il Vero Volto di Goblin, la segretaria del Dr. Bromwell, guardando Peter immerso in enormi preoccupazioni dice: “… è meraviglioso avere quell’età. Niente guai. Niente responsabilità… Nessuna delle preoccupazioni degli adulti”.
L’autore ci suggerisce, che sia lui che noi, sappiamo che questo non è affatto vero; e la sua maestria sta nel riproporre di sovente la tipica situazione dolorosa della vita di un adolescente: quella senza una via d’uscita. Si può tradurre così: un cattivo sta minacciando New York, mentre Spiderman deve portare la medicina alla zia. Se salva la città, la zia rischia la vita, se salva la zia, rischia la città intera. Non c’è soluzione. È un indovinello Zen, un nodo come quelli dello psichiatra R.D. Laing. Ne consegue una sensazione di formidabile forza narrativa: il senso di colpa. Altro che nessuna preoccupazione: gli adolescenti si nutrono del (o sono nutriti dal) senso di colpa.
Posto quindi di fronte ai suoi dilemmi, Peter trova uno sfogo (non una soluzione) nelle nuove meraviglie che i suoi superpoteri offrono al suo corpo. E giunge alla memoria il lungometraggio di Sam Raimi (Spiderman, 2002), straordinario nelle scene in cui Spiderman collauda i poteri appena scoperti, saltando e arrampicandosi di palazzo in palazzo, in una libertà di sensazioni e in un crescendo inebriante di consapevolezza: del corpo, delle emozioni, delle responsabilità, del gioco gravoso della vita.
Christian Imbriani
La scheda
Illustrazione Christian Imbriani