Corte dei Conti
I giudici contabili della Regione Sardegna hanno condannato il responsabile dell’Ufficio tecnico comunale per non essersi mosso ad effettuare accertamenti serie e compiuti avendo preferito dare ascolto alle chiacchiere e dicerie degli abitanti di un comune sardo. La storia parte dall’ormai lontano 1997 quando il dipendente comunale svolgeva le funzioni di responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune di San Vero Milis, in provincia di Oristano – che dopo 17 anni dagli eventi presi in esami dalla Corte dei Conti dovrà rifondere a seguito della sentenza n. 205 del 17 ottobre 2014 l’ente locale di € 1.240,00 a titolo di risarcimento del danno erariale dallo stesso arrecato alle casse del Comune. Nel caso di specie il responsabile aveva disposto con ordinanza la demolizione di opere abusive asseritamente realizzate da una cittadina del Comune di San Vero Milis, la quale, alquanto sorpresa per aver ricevuto un simile ordine, aveva impugnato la detta ordinanza, opponendo di non essere la proprietaria dell’immobile di cui si era intimata la demolizione, né la titolare di diritti reali di godimento sul medesimo bene. In seguito alle indagini svolte dal giudice amministrativo in sede di ricorso, era emerso che effettivamente la ricorrente non possedesse alcuna delle qualifiche necessarie per essere destinataria di un ordine di demolizione, e che un tale errore fosse riconducibile alla sola condotta del responsabile dell’Ufficio tecnico dell’ente locale. Quest’ultimo infatti, in una relazione resa dallo stesso e assunta in tale giudizio, specificava che l’errore commesso nell’indicare l’ignara cittadina quale proprietaria dell’immobile, era dovuto al fatto che in tutte le informazioni assunte in loco da numerose persone che in quel periodo abitavano nei fabbricati vicini, il nome della signora era stato indicato in modo chiaro ed esplicito. Per quanto emerso in corso di causa, nei fatti, il responsabile dell’Ufficio comunale, si era affidato alle dicerie dei concittadini circa la riconducibilità della proprietà dell’immobile in capo alla ignara signora, ed aveva omesso di procedere ad ulteriori riscontri documentali al fine di verificare la fondatezza di tali informazioni. Le mancate verifiche hanno così determinato l’accoglimento del ricorso al TAR proposto dalla destinataria dell’ordine di demolizione, con il conseguente annullamento dello stesso e la condanna del Comune al pagamento delle spese di giudizio che i giudici amministrativi avevano stabilito in € 2.000,00. La Corte dei Conti, che era stata adita dal Procuratore Regionale della Sardegna in conseguenza di tale vicenda, con la sentenza in questione ha ritenuto che il detto esborso, oltre a costituire danno erariale poiché costituente una spesa priva di qualsiasi utilità per l’Ente locale, debba essere addebitato alla sola responsabilità del dipendente dell’Ufficio comunale. Nella fattispecie, la corte ha rinvenuto tutti i presupposti previsti dalla legge ai fini della sussistenza di una responsabilità erariale in capo al dipendente pubblico, ossia l’esistenza di un rapporto di servizio, la riconducibilità causale del danno alla condotta del medesimo ed infine l’elemento psicologico del dolo o la colpa grave. Qualificando pressoché come pacifica la sussistenza dei primi due requisiti, la Corte ha tenuto a precisare come la pigrizia dimostrata dal funzionario comunale, portasse inevitabilmente a qualificare gravemente colposa la condotta del medesimo, avendo egli omesso di effettuare i dovuti e necessari riscontri, sul piano documentale, di una realtà erroneamente e superficialmente assunta a base del provvedimento poi giudicato illegittimo dal giudice amministrativo, con soccombenza del Comune e liquidazione, a carico dell’Ente, delle spese di giudizio. In virtù di tali principi, il giudice contabile ha ritenuto responsabile il dirigente pubblico del danno di € 1.240,00, somma che può rappresentare un precedente nei confronti dei dipendenti della P.A. affinchè gli stessi siano più accorti quando si tratta di affrontare le pratiche quotidiane che coinvolgono la vita dei propri concittadini.
Giovanni D’Agata
presidente dello Sportello dei Diritti