ESCLUSIVA – Intervista al cantautore bolognese MAURIZIO COSTANZO

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“La faccia delle persone” è il suo disco d’esordio

Sonorità calde, testi colti, immagini poetiche emergono nel primo disco di Maurizio Costanzo. “La faccia delle persone” (pubblicato dall’etichetta Parametri Musicali) disponibile in formato fisico, in digital download e su tutte le piattaforme streaming, si pone in netta controtendenza rispetto al panorama musicale attuale che premia rap, trap e hip hop. Le otto tracce dell’album riscoprono, infatti, un cantautorato impegnato, ricco di atmosfere intime e confidenziali: affrontano temi delicati, dal ruolo della donna nell’attuale società alla malattia di Parkinson, giungendo a una riflessione sulle diverse personalità che ognuno si porta dentro. Da qui il titolo del disco, ben rappresentato dal collage di foto in copertina, in cui il cantautore diventa impiegato, turista, prete, teppista, clochard, marinaio, donna.

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«Non sono un manipolatore di musica», ci spiega Maurizio Costanzo. «Non sono uno di quegli artisti della nuova generazione che ricreano, rigenerano, rimontano, rimixano. A me piace lavorare in modo artigianale: mani sui tasti del pianoforte e taccuino vicino per appuntare frasi e parole che diventeranno un testo». È una vita di continui step la sua. Passa dagli studi universitari alla collaborazione con gruppi di musica da camera in Italia e all’estero (dopo il diploma in oboe), dalla professione di editore e giornalista (per citare anche esperienze extra musicali ma altrettanto formative) all’attuale docenza di oboe presso il Conservatorio di Cosenza, riassumendo un variegato bagaglio culturale e musicale del tutto personale. Di origine calabrese, per frequentare l’università si trasferì 20 anni fa a Bologna. E qui è rimasto. «Ci sono città affascinanti in Italia, io per lavoro ho girato molto e ne ho visitate tante. E credo che Bologna sia il miglior posto dove vivere: è stimolante e divertente, metropolitana e provinciale allo stesso tempo. E poi non ti serve una macchina a Bologna, perché vai a piedi dovunque».

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Il suo lavoro si inserisce chiaramente nel solco cantautorale italiano più tradizionale, sia per le soluzioni armoniche sia per i testi che raccontano storie diverse, ma tutte di impronta autobiografica. Quali sono i motivi di questa scelta?

Secondo me un cantautore non può scrivere canzoni su argomenti lontani dalle sue esperienze di vita. Emozioni, affetti, rapporti sociali vissuti in prima persona devono prevalere nel racconto, altrimenti tutto sembra uguale e noioso. Amo scrivere e cantare. Mi piace raccontare ciò che scorre ogni giorno davanti ai mie occhi. Nella prima traccia “Tutto quello che rimane”, esprimo il bisogno che abbiamo di comunicare e interagire con il mondo circostante: ma viviamo spesso in un equilibrio molto instabile e “tutto ciò che rimane” da mostrare agli altri sono solo le nostre facce. In “Biancaneve” ho cercato di focalizzare le difficoltà e gli ostacoli che le donne vivono nell’attuale società, purtroppo ancora troppo maschilista. “Cercami” e “Mi perdo in un bicchiere” sono forse i brani più strettamente sentimentali.

Ma la canzone più autobiografica del disco è senz’altro “Mia madre ha il Parkinson”, in cui racconta in modo commovente le condizioni dichi soffre di una malattia degenerativa.

Il testo è un tributo a quella resilienza interiore che fortunatamente appartiene a molti, motivandoli a sostenere chi è in difficoltà. La forza delle parole è frutto di una condizione emotiva messa a dura prova di fronte al cambiamento fisico di una persona affetta da Parkinson: “allora dimmi dove vuoi andare / senza chiavi senza strade senza mani / la vita ti fa ingoiare l’acqua rotta che affonda in un fiume / le scarpe non fanno rumore e la voce non riesce a dire / gli occhi senza guardare si muovono per farsi capire”. Condividere la triste esperienza di chi, ammalato, si perde lentamente nel mare magnum della rabbia e del dolore non è per niente facile. La vulnerabilità e l’afflizione diventano fedeli compagni di vita in quest’ultima parte del cammino.

Scrivere e cantare sono le sue grandi vocazioni, visto che all’attività di musicista ha affiancato quella di giornalista. Possiamo ripercorrere le tappe della sua carriera?

Dopo il diploma in Conservatorio e la laurea in Lettere all’Università di Bologna, ho intrapreso la carriera di musicista classico, suonando l’oboe in orchestre sinfoniche e gruppi di musica da camera. Negli anni mi sono poi dedicato alla scrittura, intervenendo su diverse testate nazionali e curando riviste di design e architettura. Scrivere articoli mi ha aiutato molto a trovare una formula asciutta e allo stesso tempo discorsiva per l’elaborazione dei testi delle mie canzoni. Raccontare storie vuole dire riuscire a comunicare sinteticamente immagini chiare e significative. La forma-canzone si presta molto a veicolare messaggi e riflessioni su argomenti attuali. Oggi, purtroppo, in pochissimi leggono libri di poesie. Ascoltano invece i testi dei cantautori italiani. Questo perché la musica facilita e rende più accessibile la comprensione delle parole.

Com’è avvenuto il passaggio dalla musica “colta” a quella pop?

È avvenuto lentamente. Sono due mondi completamente diversi e credo che si possano intersecare e contaminare vicendevolmente. Durante il periodo universitario incontrai Lucio Dalla a cena, a casa di un mio amico. Il giorno dopo mi invitò negli studi della Fonoprint per farmeli visitare e rimasi affascinato dal meraviglioso mondo della musica leggera. Ogni volta che andavo a trovare Dalla nel suo studio di registrazione lo costringevo ad ascoltare le mie prime canzoni. A volte andavo via soddisfatto, perché mi stimolava a continuare, altre invece mi guardava in modo ironico, mi dava una pacca sulle spalle e diceva, con il suo leggero accento bolognese, “andiamo al bar, mi stai annoiando”.

E com’è nato, quindi, “La faccia delle persone”?

Da un incontro casuale con il produttore e arrangiatore bolognese Roberto Costa. Mi sono trovato una sera a suonare e cantare, davanti a lui, alcune canzoni che mi divertivo a comporre. Il giorno dopo Costa mi ha contattato telefonicamente chiedendomi di incontrarci per ascoltare tutto quello che avevo scritto. E così, da subito, siamo entrati in uno studio di registrazione e abbiamo iniziato a lavorare agli arrangiamenti. Lavorare al fianco di Costa è stata un’esperienza molto interessante. Con tantissimi anni di carriera alle spalle riesce a trovare sempre in modo originale la veste sonora a un brano nato per voce e pianoforte.

Oggi la sua vita si divide tra la sua terra di origine, la Calabria, e la sua città di adozione, Bologna.

Sono nato in Calabria e ho vissuto qui per vent’anni, poi mi sono trasferito a Bologna per frequentare l’università e sono diventato bolognese d’adozione. Ma già da qualche anno, da quando ho ottenuto la docenza di oboe al Conservatorio di Cosenza, vivo otto mesi al nord e quattro in Calabria. Una condizione ideale per chi lavora in questo campo, abituato sempre a condividere nuove esperienze e cercare differenti stimoli, eliminando ogni tipo di frontiera.

Marianna Mazzuca

 

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