Stop ordinanza-ingiunzione: l’apparecchio si trova oltre due metri fuori. Violato l’obbligo di trasparenza: la prefettura deve tutelare la sicurezza, non prendere di sorpresa i conducenti
Stop all’ordinanza-ingiunzione dopo la multa e il taglio dei punti patente per eccesso di velocità: l’infrazione, infatti, è rilevata da un autovelox che si trova su di un palo oltre due metri fuori dalla carreggiata e trova dunque ingresso l’eccezione di mancata visibilità dello strumento di rilevamento elettronico. E ciò perché il potere sanzionatorio riconosciuto alla pubblica amministrazione deve essere utilizzato per tutelare la sicurezza sulle strade e non per prendere di sorpresa gli automobilisti indisciplinati.
È quanto emerge dalla sentenza 210/22, pubblicata dalla sezione civile del giudice di pace di Guardia Sanframondi, in provincia di Benevento (magistrato onorario Alfredo Mancini). Per il giudice di pace, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, “E’ stato il dl Bianchi, dal nome dell’allora ministro dei Trasporti Alessandro, a estendere l’obbligo di segnalazione a tutti i dispositivi di rilevamento della velocità, fissi e mobili, con l’impiego di cartelli o ricorrendo a dispositivi luminosi, se necessario: prima che il decreto legge 117/07 introducesse l’articolo il comma 6 bis dell’articolo 142 Cds, con prescrizione a pena di nullità dell’accertamento, l’adempimento era necessario per i soli dispositivi di controllo remoto senza la presenza diretta degli agenti di polizia.
Di fronte alla specifica segnalazione del trasgressore, allora, sarebbe stato onere della pubblica amministrazione dar prova della perfetta visibilità dell’autovelox. La prefettura, invece, nulla osserva né contesta che il dispositivo si trovi tutt’altro che a ridosso della carreggiata.
E in base all’articolo 115 Cpc, la mancata contestazione specifica di un fatto determina la relevatio ab onere probandi del fatto allegato e incontestato a favore della parte che l’ha allegato.
La visibilità della segnaletica e dell’apparecchio rientra nel campo delle valutazioni e risulta quindi sottratta all’onere di querela di falso: l’amministrazione avrebbe dunque dovuto dimostrare la circostanza per fondare la legittimità dell’accertamento. Ma non lo fa e viene meno all’obbligo di documentare il fatto costitutivo della sua pretesa.
Come detto, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, si tratta solo dell’ennesima prova di quanto stia accadendo nel Nostro Paese nel quale si registra una schizofrenica e spasmodica ricerca di fonti di approvvigionamento di risorse economiche da parte degli enti accertatori, in particolare i comuni, attraverso il ricorso incessante delle sanzioni a raffica su tratti di strade che ricadono nel proprio territorio ma sovente in gestione ad altri enti.
Il fatto più rilevante è che questa corsa alla multa sia attuata con modalità quasi mai ortodosse che meritano di essere censurate dagli enti preposti tra cui in primo luogo i Prefetti, se non perseguiti dalla magistratura inquirente quando integrano gli estremi dell’abuso.
Foto puramente indicativa. Fonte web.