Una serie di casi emblematici tra cui la bambina di 10 anni morta a Palermo lo scorso gennaio.
Lo “Sportello dei Diritti” vigilino genitori e tutti coloro che hanno responsabilità sui nostri ragazzi
I social sono uno strumento di comunicazione ormai insostituibile, ma sono anche un veicolo di pericolose tendenze. Una rischiosissima è quella del “Soffocarsi fino a svenire” o come la chiamano su Tik Tok, dove ormai non conosce sosta, la sfida del blackout. Tra le prime vittime un 12enne statunitense di Denver: finito in ospedale con lesioni cerebrali. Venendo alle nostre cronache è di gennaio scorso la notizia della bambina di Palermo morta a soli 10 anni che avrebbe preso parte a questa “sfida”. Pochi giorni dopo, a febbraio, sorte analoga è toccata ad un 14enne di Saskatoon in Canada.
Il sistema è tanto semplice quanto pericoloso: basta una cintura, la si serra attorno al collo e si stringe fino a perdere i sensi. Ovviamente la serie di tragedie ha comportato l’intervento del Garante privacy italiano sul social network cinese, luogo virtuale attraverso il quale la macabra sfida stava prendendo sempre più piede.
Chiaramente non può essere sufficiente il giusto e tempestivo provvedimento dell’autority poiché il controllo sulla rete affinché s’interrompa questa catena, non è semplice per non dire impossibile, per la miriade d’incontrollabili interazioni che avvengono ogni momento. Proprio per tali ragioni sono state altre istituzioni a cercare di metter un freno.
Per esempio, in Svizzera a Wolfenschiessen (NW) la direzione delle scuole comunali ha messo in allerta la comunità scolastica dopo che sono stati segnalati casi apparentemente inspiegabili di malori tra gli allievi, che hanno persuaso il dirigente scolastico a scrivere una lettera ai genitori. L’ipotesi di tali problematiche sarebbe dovuta proprio all’assurda competizione. Dopo una serie di colloqui con i bambini, infatti, sarebbe emerso che il “gioco” sarebbe praticato non solo a scuola, ma anche nel tempo libero, e che «numerosi bambini» ne avrebbero preso parte.
La lettera ricorda che il gioco è «severamente vietato» e che chiunque vi partecipi è passibile di denuncia penale, genitori compresi, in caso di lesioni. «In questa pratica il sistema respiratorio viene deliberatamente paralizzato, il cervello va in carenza d’ossigeno e c’è un alto pericolo di morte».
I genitori sono invitati a «rendere i propri figli consapevoli dei pericoli di questa sfida e dissuaderli dall’imitazione». Un invito che Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, ritiene doveroso rilanciare anche a livello nazionale perché più che le autorità dovrebbero essere i genitori e coloro che hanno responsabilità sui nostri ragazzi a dover controllare, vietare e soprattutto render consapevoli dei rischi i ragazzi rispetto a queste assurde sfide che ciclicamente si ripetono in rete.
Ovviamente è sempre utile che la tematica venga affrontata anche nelle scuole, per promuovere campagne di sensibilizzazione per incrementare le coscienze dei giovani sul fatto che “giochi” che potrebbero apparire innocui a bambini dotati ancora di poco spirito critico sono in realtà molto pericolosi fino a poter portare a conseguenze gravissime per non dire infauste.
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