di Ester Campese
Naque a Zurigo nel 1899, Antonio Ligabue, da madre italiana emigrata in Svizzera dal Friuli, il padre era ignoto. La mamma si sposò poi con Bonfiglio Laccabue che riconobbe Antonio dandogli il cognome che poi lo stesso Antonio modificò in Ligabue. Quando la madre morì nel 1919 il consolato svizzero rimpatriò forzatamente Ligabue in Italia per il servizio militare. Ligabue giunse dunque a Gualtieri sradicato dalla sua terra e inserito in una nuova, di cui non comprende nemmeno la lingua, andando incontro, dato il suo isolamento, a crisi depressive che lo portarono a diversi ricoveri forzati nell’istituto neuro psichiatrico di San Lazzaro.
Timido e scontroso Ligabue visse in un’Italia rurale e povera in cui non seppe trovare una sua dimensione divenendo aggressivo verso gli altri, per difesa, e procurandosi ferite al naso come per creare il rostro delle aquile e poter volare via. Furono i dipinti la sua via di fuga.
Soprannominato “el matt” poiché non era comprensibile agli altri il suo immedesimarsi negli animali, che lui stesso dipingeva e che aveva lungamente osservato e studiato sia dal vivo, nei boschi, che probabilmente attraverso i libri. Con gli animali Ligabue ci dialogava imitando i loro versi, per poter parlare nella loro stessa lingua, dato che in fondo li considerava i suoi veri ed unici amici. Nella sua idea gli animali vedono, senza fronzoli, le cose così come sono, ed egli stesso tentava quindi di fare altrettanto.
Una volta uscito dall’istituto continuò nella sua arte ed i suoi primi dipinti “puzzavano” poiché li realizzava con colori da lui stesso ricavati da erba, terra o quanto trovava disponibile in natura. Passò solo successivamente alle prime tinte ad olio. All’inizio barattava i dipinti in cambio di ospitalità nei fienili oppure con del cibo.
Ligabue è stato un uomo più volte umiliato e reietto dalla società solo per la sua diversità esteriore, anche perché non era certamente un uomo attraente, ma tutto ciò strideva con la sua ricchezza interiore. Profondamente amante della musica che provava a riprodurre anche attraverso i suoi versi, mentre dipingeva, quando non aveva con sé il grammofono.
Dipinse dapprima i soggetti dell’aia, più vicini a lui, come volpi, galline e conigli. Il pelo lo dipingeva con le unghie solcando la materia sulla tela come graffi, riproducendo quelli che lui stesso aveva nell’anima, ma che sul dipinto davano un senso di levità. Nel corso del tempo Ligabue rappresentò ripetutamente il leopardo e l’aquila, animali potenti e feroci attraverso cui esorcizzava la sua timidezza e al contempo la ferocia degli uomini che aveva subito, oltre all’intero rapporto angoscioso che l’artista avvertiva nei confronti della vita.
Fu scoperto dallo scultore e pittore Marino Mazzacurati che ne riconobbe immediatamente il genio organizzandogli le prime mostre. Da li in poi pian piano fu celebrato come artista geniale.