«“L’isola” è la proiezione del mio “mondo interiore” e la mia personale visione e rappresentazione di quello esterno. Un piccolo universo confidenziale»
Dopo un’anteprima streaming in esclusiva su RockON esce “L’isola”, il nuovo album di Luciano Tarullo.
Originario di Agropoli (SA), Luciano Tarullo, in questo suono nuovo lavoro in studio, propone una miscela di cantautorato e rock come insegna la migliore tradizione musicale italiana. “L’isola” diventa, così, un «gioco di contrasti tra brani “tirati”, ballate rock melodiche e canzoni che presentano una matrice più espressamente cantautorale».
«Musicalmente mi piace definire questo lavoro semplicemente come un disco rock, non solo nel sound, ma soprattutto nell’attitudine tra gli arrangiamenti e la stesura dei testi. Ho guardato poco a ciò che si produce oggi sia nel mondo indie che in quello pop, decidendo di pensare esclusivamente al vestito migliore che andasse bene per ogni singolo brano dell’album. Ho curato personalmente le parti musicali di ogni canzone, lavorando simultaneamente alla scrittura e agli arrangiamenti, per conservare l’autenticità di ogni brano al momento della creazione».
“L’isola” è un lavoro nato da una lunga gestazione: trovano spazio, all’interno dei 9 brani, canzoni scritte da Luciano nel corso della sua vita, fra composizioni più recenti e altre che risalgono alle sue prime stesure, a 18 anni.
«Ciò che conta davvero è la mia volontà di mettere “nero su bianco” le esperienze, gli incontri, le scelte, i cambi di rotta, e tutto ciò che mi ha segnato come persona e come artista».
Le tematiche affrontate da Luciano Tarullo ne “L’isola” vanno dall’intimo al condiviso, nella sua visione lucida della società in cui viviamo e che ci circonda.
«Nel disco si parla di vita e di perdite (“Benvenuto” – “Come un angelo senz’ali”), di amicizia e “bisogno di farcela” (“Il senso di noi”), di impulsi profondi che faticano a venire a galla (“Il tempo”), si toccano argomenti legati alla visione della nostra società e della nostra cultura criticandone l’autenticità a discapito di una sempre più incalzante moda dell’apparire (“Tu da che parte stai” – “È così che va il mondo” – “Spalle al muro”), fino ad arrivare a tematiche esistenziali che cercano di scavare nell’intimo della nostra anima (“Quello che resta”)».
Scritto, arrangiato e prodotto dallo stesso Luciano, “L’isola” è registrato, mixato e masterizzato da Tonino Valletta presso il TVA Studio di Ascea (SA).
«Il TVA Studio non è stato semplicemente il posto in cui ho inciso il disco, ma molto di più. Nell’arco di due anni di produzione è stato un vero e proprio laboratorio creativo fatto di persone che hanno lavorato all’album con il massimo della professionalità. Un lavoro di squadra che ha coinvolto la produzione artistica, la fonia di Tonino Valletta, la band che ha suonato tutti i brani e tutte le persone che hanno contribuito alla realizzazione del prodotto finale».
All’album hanno partecipato i musicisti Ivan Tornese (chitarra elettrica e cori), Frank Cara (chitarre elettriche e acustiche), Antonio Brunetti (basso), Gianluca Perazzo (batteria), Piera Lombardi (cori e voce in “Come un angelo senz’ali”), Bruno Manente (pianoforte in “Benvenuto”) e Lorenzo Maffia (tastiere in “L’isola”).
L’artwork è di Giovanni Carbone.
TRACK-BY-TRACK
1) È così che va il mondo
2) Il senso di noi
3) L’isola
4) Spalle al muro
5) Tu da che parte stai
6) Benvenuto
7) Come un angelo senz’ali
8) Il tempo
9) Quello che resta
“È così che va il mondo”
È la prima traccia dell’album. Il pezzo parte con un doppio riff di chitarra che lascia spazio successivamente all’entrata di tutto il resto degli strumenti. Le chitarre sono rock, la batteria porta un groove pop nelle parti strumentali e nell’inciso che è cantato, come gran parte dei ritornelli del disco, in maniera “corale”. Il titolo potrebbe far pensare ad un atteggiamento di rassegnazione, ma non è così. “È così che va il mondo”, come tutti i brani dell’album, lascia sempre speranza, un attimo di fiducia, un desiderio di rivalsa, interiore oppure rivolta verso l’esterno, «È così che va il mondo, ma non è quello che voglio».
“Il senso di noi”
È una canzone scritta di getto, vera, uscita fuori dopo una chiacchierata al bar con un amico.
Parla della nostra vita, di “bisogno di farcela” con tutte le nostre forze, di andare avanti sempre, anche contro le critiche e le invidie; tutto questo anche e soprattutto grazie alla musica, «con in braccio una chitarra, ci dimentichiamo tutto, quello che c’è intorno, quello che hanno detto, tutto quello che han distrutto».
Musicalmente lo si può definire un brano pop-rock, dal sound british, molto “aperto”.
Lo considero uno dei brani più importanti del disco, paradossalmente proprio per la sua “apparente” leggerezza.
“L’isola”
È il brano che dà il titolo all’intero album.
L’isola è un luogo reale, ma allo stesso tempo, è anche un non-luogo; un posto lontano, sognato, vissuto ma allo stesso tempo immaginato. Un posto in cui non conta il passato, non conta il futuro, ma soltanto il momento, l’attimo, l’istante che si tramuta in eterno. Un posto libero ma allo stesso tempo chiuso in se stesso. Un piccolo microcosmo in cui le storie di tutti noi si intrecciano e si sciolgono e le nostre strade si congiungono e si separano. Il luogo in cui “tutti siamo stati e dove tutti torneremo prima o poi…”.
La canzone porta con sé quasi tutti i temi che ricorrono nell’album. Il testo non racconta un’unica storia; è un mosaico di immagini che riportano ad un unico significato.
Musicalmente il brano è essenziale; l’idea era quella di lavorare sulla creazione di un’atmosfera intima e sognante piuttosto che sulle singole parti di ogni strumento.
“Spalle al muro” / “Tu da che parte stai”
Con questi due brani, posti al centro della tracklist, l’album cambia atmosfera.
Due pezzi simili dal punto di vista armonico, ma molto diversi sotto l’aspetto del sound.
“Spalle al muro” parte con un intro di batteria di 4 battute ispirato al celebre intro di “Rock’n’roll” dei Led Zeppelin. Il basso è martellante e spinge con grande forza il pezzo e da sostegno ai tanti riff di chitarra che entrano ed escono ma che spesso suonano insieme dando la giusta armonia all’intera struttura del brano. Dal punto di vista testuale il brano è una sorta di “manifesto” contro le apparenze, contro i “comodi pensieri”, “gli eroi di cristallo”, “l’ipocrisia”, “la falsa indipendenza”, in una società in cui spesso chi cerca la verità si trova con le spalle al muro a beneficio di chi è sempre pronto a puntare la “pistola” verso gli altri.
Se il sound di “Spalle al muro” vira più dalla parte del rock ‘n’ roll, “Tu da che parte stai” tende all’hard rock d’oltreoceano. Il ritmo del brano è incalzante; chitarre, basso e batteria sono massicci; il pezzo si apre nel ritornello dimezzando il tempo. Il solo di chitarra non può non essere presente in un brano del genere. Qui affermo che il mondo è un posto pericoloso. Pericoloso perché non sappiamo realmente ciò che succede, forse ne abbiamo solo la più piccola percezione. Tutto questo ci fa cadere inevitabilmente in stato confusionale. Non sappiamo da che parte stare; la difficoltà nel prendere una posizione è una realtà da cui è difficile fuggire. La domanda è quasi ossessiva, la risposta è altrettanto incerta.
“Benvenuto”
È una lettera che ho scritto a me stesso. Ho pensato a ciò che il Luciano di oggi direbbe al Luciano di 28 anni fa, quindi al Luciano appena venuto al mondo. Il mio modo di spedirla al destinatario è stato quello di incidere il brano in questo album, e di farlo nel modo più semplice e sincero possibile. La canzone è stata registrata piano e voce, live in studio, buona la prima. Senza tagli, senza correzioni e senza filtri.
Mi piace pensare che questa canzone sia un inno alla vita, agli amici andati, a “chi non ha paura”, a chi “si divide e si allontana”, a chi “si perde e si perdona”, una canzone dedicata a chi ogni giorno si interroga, si mette in discussione, non si guarda mai indietro.
L’arrangiamento e l’esecuzione al pianoforte è del M. Bruno Manente.
“Come un angelo senz’ali”
“Come un angelo senz’ali” è la descrizione di una tragica scomparsa prematura. Non è un caso che il brano segua “Benvenuto” nella tracklist del disco.
La canzone è piena di dolore. Dolore soprattutto legato all’incapacità di accettare un qualcosa che risulta inspiegabile. Le strofe hanno la funzione di raccontare un processo che culmina ed esplode nell’unico inciso finale che rappresenta la disperazione di una madre che vede strapparsi il proprio figlio dalle sue braccia. A cantare l’inciso finale del brano è la voce emozionante di Piera Lombardi che con il suo acuto finale dà il lancio alla lunga parte strumentale che chiude il brano e che rappresenta un vero e proprio viaggio dell’anima verso il cielo.
“Il Tempo”
Primo estratto dall’album, “Il Tempo” è un brano introspettivo, viscerale, intimo ma allo stesso tempo, dal sound esplosivo.
Il testo scava nel profondo. “Siamo anime perdute negli orologi di questa vita”, viviamo nell’immobilità, in uno stato d’impasse da cui è impossibile evadere. “Il tempo” è un’entità superiore e come tale è indifferente all’uomo. Non possiamo cambiare il passato, non abbiamo potere sul futuro. “Il tempo” non offre conforto, “non ti asciuga gli occhi dopo che hai pianto”, non c’è motivo di tornare indietro per rimediare a qualcosa che è ormai rappresenta il passato. Esiste solo un “qui” ed un “ora”. Siamo qui “per abbattere quel muro”, la parete che divide ciò che siamo adesso da quello che siamo stati e forse “saremo”.
“Quello che resta”
È il brano che chiude l’album. Una canzone di grande ispirazione cantautorale e, probabilmente, una delle più “poetiche” di tutto l’intero disco. Cosa siamo noi? «un pezzo di carta che attraversa i binari», «un campo sconvolto dall’assenza dei fiori», «l’attimo esatto che precede un addio», «gli occhi di lei tra quelli di tanta gente». Siamo contemporaneamente ciò che di più semplice e più misterioso esiste al mondo.
È l’unica canzone del disco di cui è stato scritto prima il testo, nato come una poesia, e successivamente la musica. Il brano è recitato, quasi privo di una melodia. Il ritornello non è cantato ma è costituito da una parte strumentale. Questa si ripete anche nel finale e continua quasi come se volesse tendere verso l’infinito, come infinita è la ricerca delle risposte alle nostre domande.