DITUTTO vi propone oggi l’intervista esclusiva al maestro Simone Virgili realizzata in occasione del live show, proposto lo scorso 1 giugno dal CMF di Simone Virgili, presso il Mercure Hotel Colosseo, battezzato dallo stesso Simone “Fermata Napoli Centrale”, un concerto-racconto che narra la storia dei Napoli Centrale, (la celebre band del sassofonista-cantante James Senese che ha dato vita a un nuovo genere di musica chiamato Neapolitan Power).
La band risulta così composta: Simone Virgili al sax- Akai EWI – voce, Daniele Sorrenti alle tastiere e programmazione, Ivo Mileto al basso e Damiano Daniele alla batteria.
L’ideatore del nuovo progetto musicale sperimentale di musica inedita cantata e non, il CMF Collettivo Miniera Fonica, si racconta ai lettori di Ditutto svelandoci anche delle interessanti soprese.
Lo scorso 1 giugno hai presentato il tuo primo inedito “La vita è una jungla”. Questo brano nasce dal desiderio di descrivere?
“La vita è una jungla” nasce quando avevo circa vent’anni, già suonavo nei locali da tre anni e iniziavo ad avere una mia creatività nonostante fossi molto timido e poco propenso ad esternare qualcosa come una canzone scritta e cantata da me. La vita è una jungla è un vero e proprio grido di battaglia per me, un motto, una filosofia per affrontare la vita quotidiana. In vita mia ho trovato, e ancora trovo, molti ostacoli che rendono ingiusta la realtà è la dimensione che vivo. Ma nonostante ciò sono uno che non molla, anzi di fronte ai problemi abbasso la testa e cerco sempre di trovare una soluzione, di andare verso il male minore se proprio non posso avere una via di uscita ottimale. La vita è una jungla vuol dire: inutile lamentarsi senza far qualcosa, bisogna sempre adattarsi alle situazioni e trarre il meglio possibile, vivere il presente guardando al futuro con ottimismo e determinazione, senza voltarsi indietro se non per ricordare ciò che ci e stato di insegnamento. Avanzare o tenere posizione, indietreggiare mai!
Sei l’ideatore del movimento artistico collettivo CMF quando e perché hai pensato di dar vita a questo progetto?
Il CMF nasce nel 2015 come idea di progetto multiforme, aperto a sperimentazioni di ogni genere, e quindi con identità variabile. Io sono il CMF, diciamo, e per ogni situazione che nasce la mia idea è di coinvolgere gli artisti che penso siano adatti a quella situazione. Anche se pensarlo come band espandibile mi piace di più, sono uno che vuole clima familiare in un gruppo musicale. La mia band per me è un cerchio della fiducia in cui devo sentirmi a casa, in cui deve esserci sincerità e rispetto reciproco alla base. Infatti il CMF dei nostri giorni è quello del 1 giugno, un quartetto che è lo zoccolo duro da cui partire per fare ogni cosa e all’occorrenza ingrandire la formazione.
A vedervi lavorare insieme si capisce perfettamente quanto l’affinità sia alla base di ogni progetto ben riuscito importante. Quali sono state le difficoltà che hai incontrato prima di raggiungere una perfetta sincronia di ritmi?
Le difficoltà che ci sono per tenere insieme una band sono innumerevoli. Non è mai facile trovare in più persone il giusto mix fra bravura, precisione, serietà comportamentale e cordialità fra i vari caratteri. La musica funziona quando prima di essa c’è un’alchimia già fra persone, prima che fra artisti. Fra noi c’è un clima molto sereno, e quando suoniamo siamo passivamente l’uno il motivatore dell’altro. Quando c’è questo, anche i ritmi si incastrano per bene.
Per un artista la soddisfazione di avere un pubblico che ti apprezza non ha prezzo. Ci sono stati momenti in cui hai pensato di abbandonare tutto?
No mai, perché fortunatamente nei miei 25 anni di attività artistica ho sempre raccolto consensi e complimenti per ciò che facevo, da ogni tipologia di pubblico. E con gli anni questa cosa è sempre aumentata, piaccio sempre di più alla gente che mi ascolta e per me è molto bello, sentirti dire che il tuo sax emoziona e a volte sembra parlare è qualcosa che non ha prezzo.
Determinante per il tuo percorso artistico è stato l’incontro con James Senese eri più emozionato o impaurito di calcare il palcoscenico con un grande artista quale è lui?
La storia con James avrebbe bisogno di molto tempo per essere raccontata, sono accadute tante cose bellissime che messe insieme fanno sembrare magico quello che è accaduto. Comunque in breve, lui è uno tosto che mette soggezione, e farsi avanti e dirgli:
“Maestro, grazie per la tua musica, io sogno di condividere il palco con te anche per soli tre minuti, perché per quello che hai fatto io ti voglio bene e per me sarebbe un ricordo prezioso”… ecco, non è stato facile, ma lui ha colto la limpidezza di quanto gli dicevo e ha capito che avevo sentimenti sinceri, ed è per questo che mi ha invitato a Napoli a suonare durante un suo concerto. Sul palco non mi sono emozionato, ho la fortuna di avere una bella tempra e non mi tiro mai indietro di fronte a una sfida e infatti ho anche suonato bene duettando con lui. L’emozione è arrivata a bomba quando sono sceso dal palco, ed ho realizzato cosa avevo fatto, cosa era accaduto proprio a me. Ad essere sinceri, ho anche pianto per l’emozione. Lo amo, James.
Cosa ti piacerebbe realizzare a breve?
Vorrei andare in studio a lavorare sui miei inediti, magari trovando un’etichetta che desse fiducia al progetto, iscrivermi a qualche concorso (però questa parola non mi piace, l’arte è troppo sublime per essere relegata alla dimensione di una gara, sarebbe meglio dire “rassegna musicale”), e iniziare a suonare in giro la mia musica. Tra l’altro sto programmando altri incontri live che mi vedranno impegnato in diverse regioni d’Italia con l’approssimarsi della stagione estiva.
Patrizia Faiello
Photo del live Simone Sforza
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