Condannato il titolare con una multa perché per il tentativo del reato è sufficiente detenere in cucina cibi trattati col freddo e destinati alla somministrazione anche se non è iniziata la contrattazione con l’avventore
Non solo violazioni amministrative e il rischio di portarsi dietro una cattiva “fama”, per quei ristoratori titolari di ristoranti, trattorie e esercizi di somministrazione di cibi, che inseriscono nel menù prodotti surgelati, senza indicarli come tali.
Per questa categoria di “furbetti”, si prospettano tempi duri, perché si rischia addirittura una condanna penale in quanto è configurabile il reato previsto dall’articolo 515 Codice penale, almeno nell’ipotesi del tentativo, sol perché si è omessa l’indicazione nel menù dei cibi, indipendentemente dall’inizio di una contrattazione con il singolo avventore o cliente.
A confermare tale dura presa di posizione giurisprudenziale, la Corte di Cassazione che con la sentenza 34783/17, depositata in data odierna, ha dichiarato inammissibile il ricorso del titolare di un noto ristorante milanese condannato sia dal Tribunale di Milano, che dalla Corte di appello del capoluogo lombardo, a pagare 200 euro di multa perché, a seguito di alcuni controlli, risultava che sui menù non erano indicati i prodotti surgelati che, al contrario, venivano usati nelle proprie cucine.
I giudici della terza sezione penale della Suprema Corte, ritengono valide le motivazioni del giudice di secondo grado: «La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dei più recenti e consolidati arresti secondo cui al fini della configurazione del reato di frode in commercio non è necessaria la concreta contrattazione con un avventore, essendo integrato il reato, nella forma tentata, in presenza di detenzione all’interno di un esercizio per la ristorazione di alimenti surgelati destinati alla somministrazione, senza che nella lista delle vivande sia indicata tale qualità in assenza, oltretutto, di alimenti freschi essendo congelata la totalità delle provviste.
Il contrasto interpretativo in ordine alla configurabilità dei tentativo di frode in commercio, peraltro risalente nel tempo (cfr. per la tesi opposta Sez. 3, n. 37569 del 25/09/2002, P.M. in proc. Silvestro, Rv 222556), risulta definitivamente superato dalla giurisprudenza più recente, ma ormai consolidata, di questa Suprema Corte, secondo la quale “anche la mera disponibilità di alimenti surgelati, non indicati come tali nel menu, nelle cucina di un ristorante, configura il tentativo di frode in commercio, indipendentemente dall’inizio di una concreta contrattazione con il singolo avventore” (Sez. 3, n. 899 del 20/11/2015 Bordonaro, Rv. 265811; Sez. 3, n. 5474 del 05/12/2013, Prete, Rv. 259149; Sez. 3, n. 44643 del 02/10/2013, Pellegrini e altri Rv. 257624; Sez. 3, n. 6885 del 18/11/2008, Chen, Rv. 242736; Sez. 3, n. 24190 del 24/05/2005 Baia, Rv. 231946)».
Insomma, secondo la nostra associazione che fra le sue molteplici attività è sempre attenta alle problematiche connesse alla tutela dei consumatori, la sentenza in commento costituisce un motivo in più per i ristoratori per prestare la massima attenzione alla propria serietà e correttezza e una garanzia ulteriore per la consapevolezza degli avventori quando si siederanno ad un tavolo di ristorante.
Giovanni D’Agata
Presidente dello “Sportello dei Diritti”
Foto puramente indicativa.