La Federazione degli Ordini dei Farmacisti deplora che per un provvedimento dell’importanza del DdL Concorrenza si sia ricorsi al voto di fiducia, ignorando la richiesta dei relatori di riportare il testo alla X Commissione. Il ritorno in Commissione, avrebbe consentito di correggere le criticità denunziate dagli stessi relatori e fare in modo che il tema delle liberalizzazioni, lontano dal rappresentare un nodo ideologico, diventasse realmente un reale beneficio per i cittadini.
Ricorrendo alla fiducia sono invece rimaste inalterate tutte le negatività, da tempo denunciate dalla Federazione, di quanto disposto a proposito della distribuzione del farmaco. L’ingresso delle società di capitali nella titolarità delle farmacie, finora riservata ai farmacisti, avviene in modo difforme rispetto a quanto disposto per altre attività professionali, per esempio quella di avvocato, dove nelle società è imposta la presenza maggioritaria dei professionisti.
Inoltre, non si pongono limitazioni efficaci al numero delle farmacie che ciascun soggetto economico può possedere, aprendo la strada alla costruzione di posizioni dominanti se non di veri e propri oligopoli: l’opposto di quanto dovrebbe realizzarsi con la concorrenza. Attualmente il limite del 20% a livello regionale consente a soli cinque soggetti il possesso di tutte le farmacie a livello nazionale.
Vista la debolezza del settore, testimoniata dai sempre più frequenti fallimenti delle farmacie e dalla crescente disoccupazione tra i farmacisti, non sarà nemmeno necessario arrivare a tanto. In base alle analisi di IMS Health, a una società è sufficiente possedere 5000 farmacie per controllare più dell’80% del mercato. Uno scenario che in altri paesi ha condotto alla sparizione dei presidi nelle zone meno centrali ed economicamente sfavorite, a danno dei cittadini.
Questo scenario, per inciso, vedrebbe anche una situazione di gravissima difficoltà per i farmacisti che hanno scelto di avviare un esercizio di vicinato, credendo alla bontà di un’altra liberalizzazione condotta con scarsa considerazione della natura del servizio farmaceutico, ora criticata anche da esponenti del partito che la propose.
Si deve poi sottolineare che mentre il professionista è tenuto ad agire in osservanza di un codice deontologico, che pone la salute del paziente al primo posto, le società di capitali non sono tenute ad alcuna deontologia, e il disegno di legge non prevede una tutela del professionista che non segua logiche aziendali ma scienza e coscienza, a salvaguardia del paziente.
A questo si aggiunge un’altra grave lacuna che incide pesantemente sullo stesso futuro dei farmacisti: infatti non è previsto, anche in questo caso a differenza di altre professioni, che le società di capitali siano tenute a contribuire alla cassa previdenziale dei professionisti, come invece è stato fatto per l’Ente di previdenza dei medici nel 2004.
In definitiva, il DdL interviene su un settore che appartiene alla sfera della tutela della salute come se si trattasse di un’attività puramente commerciale, trascurando che le farmacie sono da sempre un presidio sanitario. Un atteggiamento che contraddice quanto previsto dai nuovi LEA e dall’atto di indirizzo per il rinnovo della Convenzione, che affidano alla farmacia un ruolo ancora più centrale nell’assistenza del paziente sul territorio.
L’ultima cosa di cui la sanità italiana, e il paese nel suo complesso, hanno bisogno è l’ulteriore indebolimento della rete del welfare a vantaggio di dinamiche estranee alla tutela della salute previsto da questo provvedimento.